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[Corte cost. n. 284/2012] Decreto “salva Italia”: la Corte riassume la nozione di “contenimento delle spese”

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Roma, Palazzo della ConsultaLa regione Veneto impugna l’art. 27, d.l. 201/2011 (cfr. “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”) convertito, con modificazioni, dalla l. 214/2011, per contrasto con gli artt. 117, 118 e 119 Cost.

Con particolare riferimento al co. 1 – che ha introdotto l’art. 33 bis al d.l. 98/2011 (cfr. “Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria”) sotto la rubrica «Strumenti sussidiari per la gestione degli immobili pubblici» – il Legislatore statale avrebbe attribuito all’Agenzia del demanio «un ruolo determinante per la valorizzazione, trasformazione, gestione ed alienazione del patrimonio pubblico anche di proprietà delle Regioni e degli altri enti territoriali, sia attraverso la costituzione di società, consorzi o fondi immobiliari, sia attraverso la selezione dei privati partecipanti, sia nella selezione dei soggetti specializzati dei quali avvalersi».

La medesima norma attribuisce allo Stato, poi, il compito di gestire il processo di valorizzazione anche degli immobili pubblici regionali attraverso risorse finanziarie messe a disposizione dalle stesse Regioni o dagli altri Enti territoriali; ciò in asserito contrasto con gli artt. 118 e 119 Cost. laddove «si prevede che le Regioni abbiano un proprio patrimonio e che quindi possano gestirne, nella loro autonomia amministrativa organizzativa e finanziaria, la valorizzazione».

Le doglianze avanzate dalla Regione ricorrente si basano, dunque, sulla pretesa lesione della sfera delle attribuzioni legislative regionali in tema di gestione del patrimonio immobiliare delle Regioni: gli interventi legislativi si iscriverebbero, infatti, in un complesso di misure che – da un lato – concentrano in capo alla Agenzia del demanio un ruolo determinante nella valorizzazione, trasformazione, gestione ed alienazione del patrimonio pubblico, anche di proprietà delle Regioni e degli Enti locali controllati e – d’altro lato – specificherebbero nel dettaglio competenze e procedure oltre il limite “di principio” invece imposto alla normativa statale in materie – quali il «governo del territorio» e la valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico – di legislazione concorrente.

Le censure non sono, tuttavia, accolte dalla Corte.

La stessa rileva, invero, di avere costantemente affermato che – per la individuazione della “materia” agli effetti della ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni – occorre far riferimento al nucleo centrale della disciplina normativa ed identificarne la concreta ratio, invece trascurandone i profili secondari e di dettaglio. In tal senso, il nucleo della disciplina dettata dal decreto c.d. “salva Italia” è rappresentato «dall’esigenza di introdurre meccanismi multisettoriali (misure in tema di sviluppo ed equità in tema di rafforzamento del sistema finanziario nazionale ed internazionale in tema di consolidamento dei conti pubblici, fra le quali quelle relative alle riduzioni di spesa, alla riduzione del debito pubblico, e, in particolare, alle dismissioni immobiliari, qui in discorso, nonché in tema di concorrenza e di sviluppo industriale ed infrastrutturale) evidentemente appartenenti al complesso dei provvedimenti riconducibili alla manovra finanziaria»; tali misure rientrano, pertanto, nella materia «coordinamento della finanza pubblica» e compongono il c.d. “piano di stabilizzazione” tendendo ad «allinearsi alle raccomandazioni a tal proposito fornite, anche di recente, dagli organismi dell’Unione europea».

Tanto premesso, la prospettiva “patrimonialistica” della Regione risulta – secondo la Consulta – “eccentrica” rispetto al contesto del provvedimento censurato: questo introduce meccanismi volti alla ottimizzazione complessiva del patrimonio immobiliare pubblico, incidendo in primo luogo sul profilo funzionale della sua destinazione ed utilizzazione economica (cfr. art. 27: «velocizzare ed ottimizzare il corretto utilizzo degli immobili appartenenti, in particolare, allo Stato ed agli enti territoriali, attraverso un’ampia gamma di strumenti, intervenendo anche su aspetti procedimentali per una loro semplificazione. Tra l’altro, tale ottimizzazione, da un lato, fa emergere in modo più chiaro la parte del patrimonio immobiliare utilizzato per finalità istituzionali e, da un altro lato, agevola e velocizza la “trasformazione” degli altri immobili in risorse finanziarie» da cui l’attribuzione all’Agenzia del demanio di compiti di «promozione della fattibilità delle iniziative» attivate «a livello territoriale con la finalità di costituire forme societarie, consortili o fondi immobiliari locali»).

Per tal motivo, il profilo “finanziario” appare prevalente rispetto al suddetto – meramente “patrimoniale” – dei diritti o delle competenze che gli Enti territoriali esercitano su quei beni; il che consente altresì di ricondurre l’innesto normativo censurato nel «panorama delle misure di coordinamento della finanza pubblica».

Che la disciplina della valorizzazione e gestione del patrimonio immobiliare pubblico abbia natura univocamente o prevalentemente finanziaria emerge, peraltro, dallo specifico contesto normativo in cui si iscrive il citato art. 33 bis, d.l. n. 98/2011: in specie quest’ultimo ha fissato disposizioni intese a realizzare il controllo e la riduzione della spesa pubblica, con attribuzione di un ruolo primario all’Agenzia del demanio in materia di «acquisto, vendita, manutenzione e censimento di immobili pubblici» (art. 12) ha introdotto il “Nuovo patto di stabilità interno” con i relativi “parametri di virtuosità” per le singole Regioni (art. 20) ha stabilito analitiche «disposizioni in materia di valorizzazione del patrimonio immobiliare» prevedendo (art. 33) la costituzione di una «società di gestione del risparmio» per la istituzione di fondi di investimento destinati a «partecipare in fondi di investimento immobiliari chiusi promossi da regioni, provincie, comuni anche in forma consorziata» nonché da Enti pubblici o società interamente partecipate «al fine di valorizzare o dismettere il proprio patrimonio immobiliare disponibile».

Per mera completezza, la Corte rammenta come siano ispirate ai medesimi presupposti anche tutte le pronunce di infondatezza di questioni sollevate dalle Regioni nei confronti di disposizioni statali analoghe a quelle in esame «adottate nella costante riaffermazione del principio secondo cui le disposizioni statali di coordinamento della finanza pubblica sono legittime in quanto: a) stabiliscano un limite complessivo, anche se non generale, della spesa corrente per le Regioni b) evitino di prevedere in modo dettagliato le modalità per il raggiungimento degli obiettivi» (cfr. Corte cost., sent. 182/2011, che subordina la legittimità delle disposizioni statali alla condizione che sia consentita l’estrapolazione, dalle singole disposizioni, «di principi rispettosi di uno spazio aperto all’esercizio dell’autonomia regionale»).

Su queste basi, le censure della Regione ricorrente non sono fondate la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, come sollevata, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 Cost., è dunque rigettata.

Roberto Di Maria

Foto | Flickr.it



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